Ebenezer Scrooge e volti senza volto – Sogno del 30.8.24
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La giornata precedente al sogno “Ebenezer Scrooge e volti senza volto” era stata piuttosto tranquilla e serena, caratterizzata da una calma che mi aveva accompagnato per tutto il giorno. In questo sogno, vissuto senza alcuna traccia di angoscia o turbamento, ho visualizzato volti senza volto. Un ‘immagine insolita ma sorprendentemente pacifica. In quel periodo mi trovavo ricoverato in ospedale, in attesa di affrontare una lunga e importante operazione, ma nonostante tutto ero sereno.

Non provavo paura né ansia, soltanto una lieve stanchezza dovuta al peso di una lunga e inattesa inattività che si era imposta nella mia vita. Questo sogno rappresenta esattamente ciò che ho descritto nell’articolo intitolato “La mente non mente – guida onirica per notti spettacolari”.

Nel mondo dei sogni, siamo la somma delle esperienze che accumuliamo nella nostra vita quotidiana. Siamo ciò che ci ha influenzato, ciò che ci ha fatto innamorare e ciò che ci ha fatto soffrire. Siamo un insieme di sensazioni, ricordi e emozioni che il nostro Io profondo elabora e trasforma in una realtà parallela, un mondo onirico che riflette e amplifica ciò che viviamo nel reale. Il sogno non è altro che una proiezione di queste esperienze, un meccanismo straordinario che, pur sembrando privo di uno scopo apparente, ci permette di esplorare dimensioni della nostra mente che altrimenti rimarrebbero nascoste.

Avevo trascorso il mio tempo libero camminando in montagna. Una splendida giornata, né fredda né calda, condivisa con una persona a me cara. Nei miei sogni, pendii scoscesi si rivestono di un verde intenso, quasi vivo.

Un ospedale compare nei miei pensieri: una struttura che ricorda un edificio anni ’60 dell’INPS, con ampie vetrate, grandi scaloni e una moltitudine di uffici. Sportelli affollati, persone che conversano, una luce alpina chiara e invitante che avvolge ogni angolo. Le porte, fatte di vetri incorniciati da sottili profili d’alluminio, si aprono per lasciar entrare refoli di vento fresco, un soffio di montagna che sembra quasi accarezzare. Scopro che devo essere ricoverato per un intervento importante, ma non provo angoscia. Chiedo quanto tempo ci vorrà. Poco dopo, arriva un’infermiera, vestita come quelle di un tempo: il grembiulino impeccabile, la cuffietta adorna sulla testa, una figura che evoca altri decenni.

Nel sogno, la visuale continua a oscillare: ora osservo l’ospedale dalla radura di montagna situata più in basso, ora mi ritrovo nella mia stanza, immersa in luce e freschezza. È una stanza forse da tre letti, ma sono solo. Eppure, dal corridoio arriva un vociare distante, un brusio di attività frenetiche. Resto sul letto, avvolto in coperte bianche, e percepisco un senso di quiete. L’infermiera mi rassicura: l’operazione sarà presto, tutto sarà sistemato. Mi dice che il chirurgo preferisce operare nella stanza per godere della vista delle montagne, lasciandosi ispirare dalla loro tranquillità. Ho vari flash che non ricordo esattamente, forse sono interruzioni del sogno. Il sogno riprende. Arriva il chirurgo, una figura claudicante e torva, una sagoma minacciosa. Assomiglia a Ebenezer Scrooge del racconto di Dickens “Canto di Natale”. A Londra, con mia figlia, ho visto la casa dove lo scrittore abitò per breve tempo. Incredibile pensare che in quel luogo oggi così apparentemente insignificante, abbia vissuto un gigante della letteratura mondiale.

Mi sforzo di guardare l’infermiera in volto, di coglierne ogni dettaglio. Ma il sogno si pende gioco di me: la vedo perfettamente e, al tempo stesso, no. In una sorta di astrazione in terza persona, mi osservo disteso sul letto mentre l’infermiera mi prepara per l’intervento. Il suo volto, però, non esiste. Al suo posto, un cappuccio bianco e una cavità nera con occhi brillanti che scintillano nel buio. Nonostante tutto, non provo timore.

Entra mia moglie, ma nei sogni è diversa: piccola, quasi una bambina. La riconosco, ma non posso stringerle la mano perché è più bassa del letto. L’infermiera, senza volto ma con un sorriso che percepisco, la solleva come fosse una bambina. Anche se so che mia moglie è adulta, mi accorgo che è la sproporzione a giocare con noi: l’infermiera è gigantesca, io stesso sono piccolo, pur restando adulto.

L’infermiera mi tiene la mano e mi dice che tutto è andato bene. Il chirurgo se n’è appena andato. Ma un pensiero mi agita: non so cosa sia successo mentre ero incosciente. Per ore sono stato assente dalla mia vita e dalla vita degli altri. Loro c’erano, parlavano, agivano. Io, invece, non esistevo.

Limitate il consumo di grassi, altrimenti potreste ritrovarvi in ospedale a immaginare storie degne di Dickens.

Un saluto a tutti i lettori.

MaxViator per raccontinelbuio